lunedì 25 settembre 2017

Cosa dirti?




E' un pomeriggio diverso da tanti altri pomeriggi.
Sono da solo nella mia stanza e mentre sto ascoltando una musica, scoppio a piangere.
Un pianto che precede quelli che dovrò versare di lì a poco, quando quella telefonata che mai si vorrebbe ricevere arriva.
Una corsa notturna in macchina per arrivare il prima possibile.
Una corsa inutile perché, ormai, tu hai chiuso per sempre i tuoi occhi.

Sono passati 34 anni da quella buia notte di tanti anni fa.
Allora ero troppo giovane e immaturo per accettare che la morte irrompesse violentemente nella mia esistenza, portandomi via troppo presto una parte di me.
Avrei dovuto attendere ancora tanti anni per arrivare oggi a capire che la morte è l'inevitabile conclusione della vita, un appuntamento a cui tutti siamo chiamati e il suo grande mistero sta nel non sapere quando questo appuntamento arriverà per noi.

Anni in cui ho cercato di dare il meglio di me stesso per renderti felice e per dimostrarti che anche se io e te abbiamo percorso un breve cammino insieme, è stato un cammino che mi ha dato tanto.
Mi hai trasmesso valori come la bontà d'animo, la gentilezza, l'educazione, l'umiltà.
Sei stato un Padre che senza mai ricorrere alle "cattive maniere" mi hai fatto crescere.
Eravamo una famiglia povera che non poteva permettersi grandi cose ma non mi hai fatto mai mancare il piacere di andare a fare la gita fuori porta, prendendo il trenino per Frascati, o per Ostia.
Con te vivevo ogni estate la trepidazione dell'organizzazione del viaggio di tutta la famiglia per andare in Sicilia a trovare i tuoi cari e quando riuscivamo a tornare a casa con le prenotazioni dei posti a sedere, dopo aver fatto estenuanti file agli sportelli della stazione,eravamo orgogliosi di noi stessi per essere riusciti a raggiungere l'obiettivo.
Ricordi che mi accompagnano ogni giorno e da cui ho attinto il desiderio di viaggiare e di far viaggiare.

Con te ho diviso gran parte delle domeniche allo Stadio Olimpico per seguire la nostra squadra del cuore. Partivamo presto dal nostro quartiere per essere in tempo, e cercare di guadagnarsi un posto a sedere. Tante partite le abbiamo viste in piedi, sotto la pioggia, con il freddo. A volte ci siamo trovati invischiati anche in incidenti, ed impauriti siamo fuggiti, cercando un riparo dal lancio dei lacrimogeni, ritrovandoci a piangere come bambini, per effetto dei gas che venivano sparati dalla polizia.
Io interruppi mentre tu hai proseguito fino a quando hai avuto la forza per farlo e, purtroppo, il destino non ti ha permesso di godere del momento in cui quella squadra del cuore vinse il suo secondo scudetto: la città impazziva ma tu stavi troppo male per goderne gli effetti.
Negli ultimi giorni quando venivo a trovarti in ospedale cercavo di spronarti nel farti pensare che quella squadra avrebbe partecipato alla Coppa dei Campioni e sarebbe stato bellissimo per te.
L'anno successivo la nostra casa era piena di gente che sperava nel grande miracolo di vincere la finale. Non vincemmo e anche se avessimo vinto tu non saresti stato presente.

Ogni anno siamo qui e ogni anno qualcosa dentro e intorno a noi è cambiata.

Il prossimo anno io sarò sempre più vicino alla stessa età che tu avevi quando la vita ha deciso che con te aveva fatto il suo percorso, eppure, ancora oggi, quando ti penso, ti vedo sempre come quel robusto, alto papà che da piccolino mi metteva sui suoi piedoni (ti prendevamo in giro per il tuo 47 e per le tue ricerche di scarpe della tua misura) e mi facevi credere di essere a cavallo.

Cosa può dire un figlio al padre dopo tanti anni?
Quello che dovrebbe dirgli, ogni giorno: Grazie Papà per quello che mi hai dato.
Posso restituirtelo solo così, attraverso uno dei grandi doni che tu e mamma mi avete trasmesso, quello di scrivere
(Santo)