domenica 24 giugno 2018

Quelle lettere che non sono mai partite



La vita spesso ti mette davanti a delle coincidenze che non arrivano a caso ma arrivano e ti fanno riflettere.
In una domenica assolata in cui il desiderio più impellente potrebbe essere quello di andarsene al mare, si può decidere di restarsene a casa e complice il silenzio della città, momentaneamente vuota e più rilassata,  dedicarsi al riordino di carte che sono in uno stato di confusione.

Bollette pagate e da pagare, dichiarazioni, raccomandate, contratti, estratti conto. 
Tutto quel corredo che fa parte della vita quotidiana e che si vorrebbe evitare di gestire ma di cui non possiamo fare a meno.

Mentre sei li che ti concentri per decidere cosa cestinare e cosa tenere, esce tra le carte una di quelle lettere che si scrivono e non sono mai partite.

Oggi parlare di lettere ha un qualcosa di nostalgico, di antico, sembra che siano oggetti facenti parte della preistoria ed invece quanto fascino c'era in quello scrivere una lettera, affrancarla ed inviarla, attendendo che il destinatario la ricevesse, specialmente quando queste lettere erano messaggere di sentimenti.

Rovistando tra le carte ho ritrovato una di quelle lettere che non sono mai partite perché non potevo mandarla da nessuna parte, non abbiamo l'indirizzo esatto di dove risiedono le nostre persone care, quando ci lasciano per sempre.

Era una lettera che scrissi da una stanza d'albergo, in un posto lontano, uno di quei posti dove mi capitava di andare a trascorrere delle giornate miste di lavoro e di divertimento.

In quell'occasione quel viaggio aveva una valenza completamente diversa da tante altre partenze, da tanti altri viaggi, perché partivo per la prima volta in una situazione nuova della mia vita.

Sapevo che non c'era più quella persona che aspettava la mia telefonata per tranquillizzarsi, quella persona che non avendo viaggiato nel mondo, spesso non aveva ben compreso dove stesse suo figlio e così quando la chiamavo mi raccontava episodi della giornata ed io che cercavo di interrompere la conversazione, perché le telefonate, specialmente intercontinentali costavano moltissimo.

Da quella stanza d'albergo capii quanto fosse vero quello che era accaduto da pochi mesi.

Lo capii quando mi avvicinai al telefono in stanza per comporre quel numero che avevo composto chissà quante volte e mi fermai e chiesi a me stesso " a chi stai telefonando?"

Posai quella cornetta e scoppiai a piangere e in un attimo di rabbia mista ad una forte emozione scrissi quella lettera ma sapevo che non potevo spedirla e la portai con me.

Sono trascorsi dodici anni da quella notte in cui arrivarono e ti portarono via per un ultimo tentativo di farti continuare a vivere ma ormai non c'era più nulla da fare.

Quella lettera avrei potuto conservarla ancora ma ho preferito distruggerla.

L'ho distrutta perché è rimasta lì, quasi nascosta e contiene nel suo ricordo dodici anni di vita in cui un uomo continua a crescere, a porsi domande, molte delle quali hanno trovato una risposta, molte sono ancora in attesa di averla una risposta e chissà se l'avranno una risposta.

Dodici anni possono essere tanti e possono essere pochi.

Dipende come sono trascorsi gli anni, se ti hanno fatto crescere ancora di più, se ti hanno portato a prendere decisioni importanti, se ti hanno fatto innamorare, se ti hanno regalato giorni belli di cui hai goduto, se dai giorni brutti, che inevitabilmente ci possono essere, si riesce a venirne fuori più forti di prima o quantomeno più consapevoli di prima.

Ci sono lettere che non sono partite e ci sono lettere che come questa non verranno spedite, sono qui in questo diario ma è come se fossero state inviate, perché da quella persona ho tratto tutta questa mia voglia di scrivere, di raccontare, di comunicare, di esserci.

Ricordando una persona cara.

Santo




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